Uno studente non è un numero, a maggior ragione se si tratta del/la proprio/a figlio/a. Troppo spesso, però, al termine della scuola, quando viene consegnata la pagella di fine anno, molti genitori si basano solo ed esclusivamente sul “voto” per decidere se essere soddisfatti o meno di quanto fatto durante un intero anno dai propri figli.
Ma schede di valutazione, pagelle e voti non rendono conto della difficoltà affrontate dagli studenti (di qualsiasi età) nell’apprendere nozioni e metodi, nel confrontarsi con compagni e docenti. Anzi: sono strumenti di cui gli stessi educatori diffidano e, forse, farebbero volentieri a meno.
Per comprendere meglio la reale dimensione in cui andrebbe considerato il voto scolastico e capire così anche la posizione in cui si trovano, spesso, i nostri ragazzi, pubblichiamo qui la lettera di un addetta ai lavori, una docente appunto, che, dopo aver consegnato le schede di valutazione ai genitori dei suoi ragazzi, ha postato sulla sua bacheca questo sfogo, ripreso da numerosi blog e riviste di settore:
“Non sono stata capace di dire no. No ai voti. Alla separazione dei bambini in base a quello che riescono a fare. A chiudere i bambini in un numero. Ad insegnare loro una matematica dell’essere, secondo la quale più il voto è alto più un bambino vale.
Il voto corrompe. Il voto divide. Il voto classifica. Il voto separa. Il voto è il più subdolo disintegratore di una comunità. Il voto cancella le storie, il cammino, lo sforzo e l’impegno del fare insieme. Il voto è brutale, premia e punisce, esalta ed umilia. Il voto sbaglia, nel momento che sancisce, inciampa nel variabile umano. Il voto dimentica da dove si viene. Il voto non è il volto.
I voti fanno star male chi li mette e chi li riceve. Creano ansia, confronti, successi e fallimenti. I voti distruggono il piacere di scoprire e di imparare, ognuno con i propri tempi facendo quel che può. I voti disturbano la crescita, l’autostima e la considerazione degli altri. I voti mietono vittime e creano presunzioni.
I voti non si danno ai bambini. In particolare a quelli che non ce la fanno. La maestra lo sa bene, perciò è colpevole. Per non aver fatto obiezione di coscienza”.