Si parla sempre più d’internazionalizzazione, globalizzazione e scambi culturali di ogni genere. Nonostante la crescita negli anni, l’Italia è tra i Paesi con meno studenti intenzionati a vivere un’esperienza di studio all’estero.
Tra le eccezioni positive, Lucia Negri, docente di lingua italiana, racconta il significato di studiare all’estero in un’ottica consapevole.
L’opportunità di studio presso un ateneo europeo, offerta dal Programma Erasmus si trasforma in una occasione di crescita culturale ma, allo stesso tempo, la professoressa ci mette in guardia dall’intraprendere un viaggio di studi senza la necessaria elaborazione.
Il suo lavoro filologico l’ha portata a Budapest per approfondire le relazioni tra la corte ungherese e gli stati italiani durante il regno di Mattia Corvino attraverso la corrispondenza diplomatica dell’epoca. In un periodo storico particolarmente rivolto all’interculturalità, presentiamo quindi un’esperienza del passato alla luce degli studi attuali, a cavallo tra due paesi, ora membri della stessa compagine geopolitica: l’Unione Europea.
L’intervista:
Che cosa l’ha spinta a trasferirsi temporaneamente in Ungheria?
Durante il secondo anno della laurea specialistica ho cominciato a pensare in quale direzione muovermi per la tesi finale. Non avevo un’idea precisa, ero però interessata alla filologia. Desideravo che la tesi non fosse uno studio particolare su cui fossilizzarmi, ma un’occasione formativa viva; non il termine di un percorso, ma l’inizio della mia vita professionale.
Così è nata l’idea di fare la tesi all’estero, parlandone con il mio relatore. Ho valutato l’utilità e il valore che tale soggiorno avrebbe potuto aggiungere alla nostra esperienza umana e culturale (sono partita con un’amica).
E’ un’esperienza arricchente studiare all’estero?
Decisamente sì, anche se non è meccanico. Dipende dall’atteggiamento con cui si affronta tale esperienza. In linea generale, lo studio all’estero favorisce un ampliamento dell’orizzonte della propria conoscenza.
Il lato più interessante dell’Università (come indica lo stesso etimo) sta nella possibilità di addentrarsi nel particolare della realtà per comprendere l’universale. Vivere all’estero ti rivela risvolti mai considerati prima, sia in materia di studio sia di metodo, facilitandoti la comprensione verso l’universale. Inoltre si entra in contatto con una diversità culturale che non può che costituire un arricchimento.
Cosa consiglierebbe a un giovane “al bivio”: partire o non partire?
Prima di tutto, di prendere sul serio la possibilià di partire. L’idea non è sufficiente, bisogna verificarla, altrimenti si rischia di sciupare l’opportunità. E’ importante avere chiaro lo scopo per cui andare all’estero.
Sono partita non con la certezza, ma sì con un’ipotesi di lavoro. Mi sono chiesta quale valore potesse avere per il mio percorso di studi un’esperienza di studio all’estero e come renderla significativa.
Ha organizzato personalmente il suo viaggio-studio?
Prima della partenza ho contattato i professori dell’università ungherese. Ho verificato il programma dei corsi e grazie alla disponibilità dei professori è stato possibile concordare un programma e una modalità su misura. Infine, ho iniziato a visionare il materiale reperibile su cui avrei lavorato a Budapest.
Un commento alla sua esperienza?
Chiedersi seriamente cosa si cerca; altrimenti si parte senza avere chiaro nulla e, una volta all’estero, si rischia di perder tempo e di sopravvivere all’Erasmus senza viverlo!